Il Consiglio confederale di Confcommercio ha incontrato i leader dei partiti in vista delle elezioni del 4 marzo. L’intervento del leader di LeU e presidente del Senato, Pietro Grasso.

Da dove riparte l’Italia? Come si ricostruisce il benessere che aiuta le imprese, il commercio, le famiglie, i lavoratori, le giovani coppie che devono intraprendere una vita… Questa è l’unica domanda che deve interessare le forze politiche.

Alcuni fanno proposte roboanti, che sono però o inattuabili o mortificano quei ceti medi e bassi, che sono esattamente il cuore di questo Paese. La nostra democrazia e la nostra economia hanno prosperato quando il Paese cresceva e la ricchezza veniva re-distribuita. Troppe diseguaglianza sono nocive per il Paese, sono un’ingiustizia che danneggia il tessuto sociale, del quale il commercio è parte integrante.

Crescita, lavoro stabile, reddito… Solo con lavoro buono e stabile si sostiene domanda interna, quella che manca da questa ripresa. Con voi vorrei parlare proprio di questo, prima di soffermarmi su alcune delle questioni che, immagino, vi stanno più a cuore.

Intanto vi faccio i complimenti per la qualità del materiale che avete prodotto; su alcune cose ci troveremo in disaccordo, ma penso che una grande organizzazione di categoria come la vostra debba fare esattamente questo: produrre conoscenza per mettere il decisore pubblico in condizioni di migliorare il proprio punto di vista, confrontandosi con un livello alto di proposta, e soprattutto chiaro nei contenuti. Questa vostra iniziativa è quindi la benvenuta.

Mi perdonerete se non farò uno show da avanspettacolo per strappare l’applauso e manterrò invece uno stile sobrio. Con la franchezza che vi è dovuta dirò chiaramente su cosa sono d’accordo con voi e su cosa no.

Però, prima, anche per seguire il procedere del vostro documento, credo sia necessario offrire una interpretazione del momento che l’Italia sta vivendo oggi.

Concordo con voi nel leggere delle insidie già nel prossimo futuro quando, nel vostro testo, affermate che la ripresa c’è “ma è soggetta a tutte le fragilità strutturali che l’economia italiana non ha ancora risolto”. Quali sono per noi di Liberi e Uguali, queste fragilità? Una crescita orientata troppo all’export; compressione salariale e bassa produttività; precarietà lavorativa; il perdurare della crisi in ampie aree del Paese (in primo luogo il sud); la mancanza di innovazione nell’azione della Pubblica Amministrazione; l’assenza di una politica di sviluppo concertata tra attori privati e pubblici (su settori chiavi del manifatturiero, ma anche per gli asset fondamentali del turismo e dell’agricoltura); una scarsa crescita della domanda interna.

C’è una ripresa europea, che però vede l’Italia all’ultimo posto tra i Paesi dell’Unione Europea come previsione di crescita del PIL nei prossimi due anni. Una ripresa che sarà messa alla prova quando il Quantitative Easing della Banca Centrale Europea smetterà di irrorare le economie europee, soprattutto nel caso italiano. Già oggi, come giustamente emerge dal vostro paper, il credito verso le imprese non è stato sufficiente.. Immaginiamo cosa accadrà dopo il 2019.

Su questo occorre intervenire. Parliamo delle piccole e piccolissime imprese, quelle più colpite dalla stretta del credito, quelle che non vivono di export, molte di quelle che voi rappresentate. Dobbiamo lavorare per fare in modo che il rapporto tra banche e mondo delle imprese in generale sia più trasparente e allo stesso modo più efficace dal punto di vista del sostegno a quelle imprese che investono, che ci provano.

Concordo sulla necessità di coinvolgere negli incentivi all’innovazione, anche quelle imprese che non hanno dimensioni tali da avere un progetto proprio di adeguamento all’evoluzione tecnologica. Dobbiamo cercare di colmare il dualismo tra le imprese che corrono e quelle che sopravvivono. In questo lo Stato e gli Enti locali possono svolgere una funzione vincolando gli incentivi a scelte virtuose (noi pensiamo al risparmio energetico, alla minor produzione di rifiuti, alla ricerca) e attraverso l’offerta di servizi alle imprese. In alcune regioni virtuose questo compito è svolto da agenzie nelle quali pubblico e privato lavorano assieme.

Cosa dobbiamo fare, quindi in questa XVIII legislatura? Per noi, economia e consumi si rilanciano diminuendo le diseguaglianze. A meno che, perdonatemi la battuta, non si creda di poter sostenere la crescita di questo Paese unicamente basandosi sugli showroom del lusso (che pure sostengono un segmento importante della nostra economia). Fatemi scomodare il vecchio Ford… Bisogna tornare a sostenere che l’operaio che produce un’automobile deve ricevere un salario sufficientemente alto da poterla acquistare. Oggi dovremmo citare altre decine e decine di figure lavorative e non solo o non più l’operaio della vecchia fabbrica, ma spero di avervi reso con chiarezza il nocciolo della questione.

Per sostenere la domanda interna e i salari servono maggiori sicurezze e tutele; ho capito che su questo non siamo d’accordo: noi di Liberi e Uguali siamo per la reintroduzione dell’art. 18 e per garantire tutele e certezze sul futuro ai lavoratori precari.

Una parentesi, prima di parlare di lavoro: il lavoro si sostiene anche ricostruendo il tessuto sociale e commerciale dei nostri centri storici e delle nostre città. Condivido in pieno, in questo senso, la vostra proposta di garantire affitti agevolati di locali di proprietà comunale a imprese di giovani e start-up; quella sul recupero, riqualificazione e valorizzazione dei volumi esistenti (aree dismesse, sottotetti, seminterrati), anche nel centro storico, soprattutto nell’ottica di azzeramento del consumo di nuovo suolo.

Liberiamo questo patrimonio: sui centri urbani, forse, va fatto un ragionamento relativo alla creazione di un’Agenzia per le Politiche Urbane, che aiuti a investire nell’idea di Italia dei Comuni che abbiamo. Siamo d’accordo sulla necessità assoluta di intervenire per rammendare e curare territorio e città, come abbiamo scritto anche noi nel nostro programma. Al tempo stesso, trovate in noi un alleato entusiasta sul punto 14 del vostro paper: la crescita sostenibile. Strategie integrate tra pubblico e privato, nuove politiche della mobilità sostenibile, sviluppo delle opportunità offerte dalla digitalizzazione.

Torniamo al tema del lavoro: alcuni dati li voglio sottolineare. Nel 2017, per 1 posto di lavoro creato a tempo indeterminato 9 sono a termine. L’Istat segnala anche il boom dei lavori brevi: da 3 mesi o addirittura meno.

Questa ripresa ha il volto dei lavoratori a termine. Solo un italiano su cinque ha un lavoro dipendente a tempo indeterminato. Il 19,1% degli uomini e il 6,5% delle donne lavora part-time perchè obbligato.

Nel part-time involontario siamo al doppio della media europea. Queste persone lavorano e guadagnano meno di quel che vorrebbero e di cui hanno bisogno. E poi c’è l’aumento delle povertà e delle difficoltà di molte famiglie italiane. A luglio scorso, infatti, è salito l’indice di disagio sociale, il Misery Index di Confcommercio. Questo danneggia tutti. Il lavoro o è buono, o non permette la crescita dell’intero sistema economico.

Una parola in più, però, la vorrei spendere per il mezzogiorno. Poco e male si parla di Mezzogiorno in questa campagna elettorale. Per troppo tempo le classi dirigenti di questo Paese ne hanno fatto strumento di clientele, di relazioni particolari, di piani sciagurati. Giorni fa la Commissione europea ha presentato a Bruxelles un progetto per un Piano di investimenti in infrastrutture sociali. Anche quello è un terreno su cui lavorare e su cui l’Europa sembra decisa a investire risorse. Queste risorse andranno utilizzate, ma bene: non per alimentare clientele o sprechi.

Il nostro obiettivo è quello di potenziare le infrastrutture del sud, ne parlate anche voi. Bisogna favorire in tutti i modi la crescita del turismo e dell’agricoltura di queste aree del Paese. Ciò di cui abbiamo bisogno è di un vero Piano per il Mezzogiorno. Di investimenti pubblici che restituiscano lavoro e dignità a giovani, alle donne e agli uomini.

E a proposito di giovani: voi dite, investire di più. Bene, quando parliamo di abolire le tasse universitarie, investire in formazione e diritto allo studio dalla culla all’università, noi diciamo esattamente la stessa cosa – magari immaginando strumenti diversi. Ma se la formazione delle giovani generazioni non aumenta in qualità e quantità, difficilmente terremo il passo con i Paesi con i quali ci piace confrontarci.

Non bisogna avere paura di parlare di investimenti pubblici: l’investimento pubblico per il Mezzogiorno è notevolmente calato, soprattutto rispetto agli investimenti fatti al nord. A differenza che in passato su questi fondi bisogna vigilare e per farlo serve una presenza e un ruolo forte dello Stato.

Una presenza che non avremo se passasse la curiosa proposta della flat tax, un modello fiscale utilizzato in Polonia, Estonia, Lituania e Russia. Non c’è un singolo Paese del vecchio blocco occidentale che l’abbia presa sul serio. La desertificazione delle entrate fiscali che ne deriverebbe porterebbe a privare lo Stato di qualsiasi capacità di investimento strategico: volete un piano per il turismo che investa nei porti del Meridione, per esempio, favorendo turismo e commercio? Scordatevelo. La Flat tax, inoltre, mette in dubbio le fondamenta dello stato sociale, come quelle della Sanità, già gravemente a rischio: penso che a voi interessi più garantire diritti e sostegno a un commerciante che si ammala e che oggi non li ha, non il contrario.

La proposta di Flat Tax, avanzata da Berlusconi e Salvini, si fonda sull’assunto che l’evasione in Italia sia alta a causa dell’alta pressione fiscale. La pressione fiscale è alta, invece, perché in troppi non pagano le imposte dovute. Mi limito a dare un numero: a causa dell’aggiramento da parte di Google e Facebook delle norme sui profitti, l’Italia nel periodo 2013-2015 avrebbe perso 549 milioni di euro di tasse. Una enormità. Lo dice uno studio del settembre 2017 realizzato dall’eurodeputato socialista Paul Tang.

Vengo quindi al nocciolo della questione: imposte più basse non assicurano maggiore fedeltà fiscale. Lo dimostra il caso Apple, la cui corporate tax più bassa d’Europa (quella irlandese, al 12,5%) non è bastata a convincerla a pagare il dovuto (visto che ha provato a pagare lo 0,003%). E dico di più: la mancata fedeltà fiscale da parte di queste multinazionali costituisce un enorme vantaggio competitivo, a danno delle altre imprese.

Si è discusso e si discute quindi di Web Tax, e su questo leggendo il vostro documento siamo tutti d’accordo. La «web tax» di Renzi non credo vada però nella giusta direzione per tre ragioni. In primo luogo il 3% è un’aliquota fissa troppo bassa. In secondo luogo questa legge non si applicherà all’e-commerce e ai suoi colossi, come Amazon. In terzo luogo in virtù di questo provvedimento i ricavi delle imprese digitali residenti saranno sottoposti «non solo al nuovo tributo, ma anche alle altre imposte dirette con le aliquote vigenti in Italia, con un onere di imposta effettivo più elevato»: come ha giustamente segnalato l’Ufficio parlamentare di Bilancio.

Noi di Liberi e Uguali ci impegneremo invece per eliminare una tassa fra le più odiose, che paghiamo tutti senza accorgercene, una tassa che strangola il Paese e di cui in campagna elettorale non parla nessuno: la Mafia Tax. Gli strumenti per intervenire sull’economia criminale possono essere migliorati ma – in ogni caso – manca la volontà politica.

Ma la strada è ancora lunga per sradicare quella che è al tempo stesso una emergenza criminale e morale. Occorrerebbe, ad esempio:

– intervenire sulla tracciabilità dei pagamenti per contrastare i molteplici reati dalla corruzione al riciclaggio, attraverso la reintroduzione di una soglia più bassa all’uso del contante;

– effettuare più controlli e più efficaci;

– semplificare le normative, assicurando maggiore trasparenza ai rapporti tra cittadino e Pubblica Amministrazione;

– prevedere e applicare sanzioni credibili ed effettive, con tempi certi.

Possiamo discutere dei tempi della sua attuazione e modalità ma idealmente la strada del futuro è l’abolizione del contante, tanto per combattere l’evasione fiscale che per contrastare l’economia criminale. Per fare questo, le commissioni bancarie su questo genere di transazioni dovranno sostanzialmente raggiungere lo zero. Le banche, in cambio, ridurrebbero i costi derivati dalla gestione del contante.

Quello che vogliamo non è solo uno Stato che reprima il crimine ma una comunità che previene alla radice le condizioni su cui prospera il malaffare, e che sottrae al bene comune le risorse di tutti. Naturalmente, anche la politica deve cambiare, e noi vogliamo portare questo cambiamento fatto di moralità e rispetto delle regole. La parola legalità non la urliamo nelle piazze, la realizziamo ogni giorno con i comportamenti e le azioni.

Permettetemi quindi di esprimere parole di sincero apprezzamento per il PREMIO LIBERO GRASSI. Questo concorso, cui contribuisce fin dal 2009 Confcommercio, giunge quest’anno alla quattordicesima edizione. Davvero un bel traguardo. Badate: costruire cittadinanza in una società divisa, arrabbiata e impoverita, non è impresa da poco. Guerra, terrorismo, razzismo e mafie, rischiano di minare la ricchezza sociale del nostro paese. Iniziative come questa dedicata a Libero Grassi rinsaldano invece i legami di solidarietà. La virtù in questo particolare momento storico consiste nel costruire ponti, non nel distruggerli. Siate dunque orgogliosi, molto orgogliosi, di questa iniziativa.