Grazie, Presidente. Signor Presidente del Consiglio, signori Ministri, a più di tre mesi dalle elezioni, dopo innumerevoli colpi di teatro, dopo aver litigato, poi fatto pace, dopo aver gridato alla piazza addirittura l’alto tradimento del Presidente della Repubblica, per poi ringraziarlo, siete riusciti a portare una proposta di Governo in quest’Aula, consentendo al Parlamento di cominciare finalmente a lavorare. Tanta fatica per nulla, bisognerebbe aggiungere.

Il suo discorso programmatico, signor Presidente, è apparso come una pallida dichiarazione di intenti, dove c’è tutto e il contrario di tutto. La situazione è difficile, lo capiamo, la sua nomina è stata soprattutto il frutto di un grave corto circuito democratico. Come possiamo rivolgerci a lei come guida dell’Esecutivo, se, con tutta evidenza, non è lei al volante, ma chi le siede accanto?

Con chi dobbiamo parlare?

Avremmo auspicato un discorso più coraggioso, signor Presidente. Probabilmente, non a caso lei deve guardare a destra e ancora più a destra; deve, in ogni caso, declamare un programma che le hanno scritto altri e le hanno consegnato. Un programma che, per forza di cose, somiglia più a un elenco di promesse, una lista di desideri, che di progetti di Governo.

Forse sarebbe il caso, signor Presidente, di chiarire la differenza fra promesse elettorali e programmi esecutivi di Governo, ma credo che se ne accorgerà presto. Dalle sue parole non è emersa alcuna visione del rilancio del Paese, nessun progetto o idea concreta, tanto meno un percorso credibile attraverso il quale raggiungere gli obiettivi del famoso contratto.

“Lasciateci provare”, si sente dire dalla sua parte politica, come se il Governo del Paese fosse un simulatore di volo, “lasciateci vedere se siamo capaci di pilotare”. Ma questo non è un esperimento, questa è la vita vera delle persone, ed è indispensabile capire per tempo cosa può venire da una proposta di Governo.

La Costituzione parla di fiducia, e non lo fa per caso.

La parola fiducia contiene una valutazione preventiva, che va condotta sulla qualità della proposta, della persona che l’avanza, delle idee che la esprimono, dei programmi a cui si richiamano, del retroterra culturale da cui provengono le proposte, di quello che siete stati fino ad oggi, e non di quello che promettete di essere da domani.

Come si fa ad avere fiducia in un Governo come il vostro, che nasce da due forze politiche che hanno costruito tutta la loro capacità di aggregazione su un alfabeto di intolleranza, violenza verbale, cultura reazionaria, giustizialismo, con l’ambizione comune, anche e soprattutto nelle interlocuzioni internazionali, di sollevare muri, di rinforzare confini, di alimentare chiusure, di sostenere politiche di ostinata durezza, soprattutto verso i più deboli, i poveri, i disperati, gli ultimi? Come si fa ad avere fiducia in un Governo che non dice una parola sull’omicidio di un bracciante agricolo, la cui colpa è stata quella di difendere un minimo di dignità dei suoi compagni, che si ammassano di fatica nei campi, per un euro all’ora.

Nasce oggi il Governo della ruspa e del vaffa, un lessico, prima ancora che una cultura, che è stato capace di costruire una forza sulla contestazione e che oggi è chiamato alla prova del Governo. Mi auguro e auguro al Paese che sappiate cambiare linguaggio e comportamenti, perché, se porterete la ruspa e il vaffa anche nelle istituzioni, come avete fatto nella costruzione della vostra cosiddetta intesa, allora ci toccherà raccogliere le macerie di una democrazia, che però – è bene chiarire – è abbastanza salda, da superare anche voi.

C’è un filo nero e drammatico, che collega la cultura di riferimento di questo Governo sui migranti, sui diritti civili, sui diritti delle donne, sui diritti delle minoranze, sul riconoscimento dell’affettività a prescindere dagli orientamenti sessuali, sulla parità di genere, sull’autodeterminazione delle persone e sulle scelte etiche, cioè su tutto quello che costruisce l’identità civile e moderna. Il filo ci dice che voi siete indietro, drammaticamente indietro. Se c’è un muro che segna la civiltà moderna, voi siete dall’altra parte, nel territorio oscuro della negazione delle libertà, dell’accoglienza, della solidarietà, perfino di quella protezione di cui dite di volervi fare carico, senza però averne il sentimento.

Nel fantomatico contratto di Governo, che avete siglato tutto sommato con facilità, rapidamente, litigando poi a lungo sulle poltrone, in quel contratto di Governo, ci sono più carceri per metterci i poveracci, ci sono più controlli sui migranti, ma quelli poveri e disperati. Perché il migrante vi dà fastidio quando non ha nulla; se è ricco vi sta bene.

Ci sono meno garanzie e più manganelli e non c’è una vera parola su tre temi cruciali che intendo segnalare, perché riguardano la terra da cui provengo e perché da quella terra è arrivato un grido pesante di allarme. Sono i tre temi su cui il vostro programma ha detto poco e ha detto male: lavoro, salute e Sud.

Sul lavoro, vera emergenza nazionale, avete detto cinque frasi di rito formali, non avete un progetto per rilanciare l’occupazione in questo Paese. Quando vi si dice “lavoro”, voi rispondete “reddito di cittadinanza”. Ma sono due cose diverse, addirittura opposte. Esiste il sussidio quando non c’è lavoro e noi dovremmo ambire alla scomparsa di tutti i sussidi, per dare a tutti un lavoro. Il lavoro è dignità, realizzazione personale e progetto di vita. Cancellarlo dalla prospettiva politica e sostituirlo con un sussidio, inteso come unico orizzonte, è negare la speranza. Noi non siamo contrari a misure assistenziali, ma ci vogliono più risorse. E ci saremo, se si vorrà proporle, ma non basta. Ci vuole un programma di investimenti, che rilanci l’occupazione e lo sviluppo, con una mano decisa e forte del pubblico.

Di tutto questo tracce sbiadite, vaghe e inconsistenti, come sbiadite e vaghe sono state le parole sulla salute, tema cruciale. C’è un’Italia divisa in due, ci sono regioni a cui sono negati i livelli essenziali. Non una parola sulle liste d’attesa, sulle cure diseguali, sulla necessità che la sanità, pur nelle competenze regionali, recuperi il senso di un grande servizio nazionale, che tuteli il diritto di tutti.

E qui vengo al vero problema, signor Presidente. Ha parlato di molte cose, non ha mai citato la parola Mezzogiorno. Non ha detto nulla sul Sud, nulla, nemmeno una parola. E su questo – bisogna dirlo – c’è una rigorosa coerenza con il fantomatico contratto: nella prima versione silenzio, nella seconda tre righe. Non dico un progetto – sarebbe troppo -, ma una parola, signor Presidente, una parola sul Sud! E, allora, ci chiediamo: cosa mai dovrà fare il Ministro per il Mezzogiorno? A che serve un Ministro per il Sud, senza un progetto, una riga di programma, una volontà progettuale, una visione, senza un cammino? Mi auguro di poterla sentire nella replica questa parola così indigesta, evidentemente, ad una Lega che fino a qualche mese fa aveva il Nord nel simbolo e i terroni negli slogan.

Mi auguro di poterla sentire nella replica questa parola, così indigesta. Evidentemente colpisce che, proprio al Sud, uno dei due soci di questo patto di potere abbia preso percentuali che nemmeno grandi partiti hanno mai visto. Qual è la risposta a tutti quei voti? Un sussidio, nemmeno la parola “Sud” pronunciata in Parlamento. Vuol dire che la pronunceremo noi la parola “Sud” in quest’Aula. Gliela ricorderemo noi, Presidente. Diremo: Sud, Sud, Sud! Glielo diremo noi, ogni giorno. Glielo ricorderemo noi, con proposte di interventi. Ve lo ricordiamo noi il Sud, che avete cancellato dai programmi e dal vostro orizzonte culturale. Ve lo portiamo noi qui ogni giorno, sperando che i suoi vice le diano il permesso di ascoltarci, di ragionare e di parlare e – concludo, Presidente – magari anche ogni tanto di agire, di fare qualcosa per il Paese.

Nella fase di insediamento vanno fatti gli auguri al nuovo Governo, per senso delle istituzioni e soprattutto per amore del Paese. E io glieli faccio, signor Presidente. Vi auguro di non dimenticare mai che lei è la guida di tutti gli italiani, non solo dei soci di maggioranza dell’improbabile coalizione che la sostiene. Lei è a capo di un grande Paese. Lo svolga con il piglio, l’autorevolezza e l’autonomia, che devono essere proprie di chi ha l’onore e l’onere di rappresentarci nel mondo. Diversamente, saremo noi qui a ricordarglielo.