“Vivere per lavorare o lavorare per vivere?” Così dal palco di Sanremo ha cantato lo Stato Sociale, dando note e voce a una delle questioni cruciali del nostro tempo e delle nostre società.

 Se la conquista della giornata lavorativa di otto ore ha segnato la storia del movimento operaio, oggi infatti la sfida è ancora più alta e complessa. La “grande trasformazione” in cui siamo completamente immersi, le travolgenti innovazioni scientifiche, tecnologiche e organizzative che sono in atto, il loro incedere anche attraverso i difficili anni della crisi, tutto questo contribuisce a mutare profondamente l’idea e le forme dell’attività umana, il suo carattere relazionale e cooperante, la nozione di produttività sociale, riducendo drasticamente il “lavoro necessario” e il suo profilo.
Primato dell’informatizzazione e della comunicazione, sviluppo della rete e delle reti, automazione e robotizzazione, fino all’affacciarsi e all’affermarsi, in prospettiva su ampia scala, dell’intelligenza artificiale e delle sue applicazioni.
 In questo quadro – passando attraverso una sempre più sottile minoranza di figure privilegiate e/o tutelate, una crescente maggioranza di donne e uomini sottopagati e non garantiti (e spesso costretti al continuo ricorso al lavoro straordinario o all’insostenibile intensificazione dei ritmi della loro prestazione), fino al moltiplicarsi delle situazioni di lavoro temporaneo e intermittente, di sottoccupazione e inoccupazione – la squilibrata distribuzione del lavoro, la sua attuale forma salariale, la convivenza di gerarchie e trattamenti contrattuali diversificati, si dimostra tutt’uno con l’inaggirabile nodo dell’ineguaglianza sociale, ovvero dell’ingiusta appropriazione da parte di pochi della ricchezza prodotta dal lavoro e dalla cooperazione dei molti.

Per questo è importante il segnale arrivato dalla Germania dieci giorni fa, con il rinnovo del contratto dei lavoratori metalmeccanici, siglato dal sindacato IG Metall e dall’organizzazione padronale del land Baden-Württemberg, a fare da apripista a un analogo accordo nazionale.

I punti essenziali del nuovo contratto prevedono un aumento salariale del 4,3% e più flessibilità per i lavoratori che potranno ridurre l’orario di lavoro settimanale fino a 28 ore per un periodo minimo di sei mesi fino a 24 mesi.

Come contropartita si prevede più flessibilità anche a vantaggio dei datori di lavoro, che potranno aumentare contestualmente il numero dei lavoratori ingaggiati per 40 ore di lavoro settimanali. Una tantum a ulteriore integrazione del salario sarà pagata nel corso del 2018.

Il giudizio su questo contratto non può che essere ambivalente. Articolata è la posizione della stessa Sinistra tedesca. Intanto per i destinatari: al momento l’accordo riguarda 900mila dipendenti metalmeccanici e, in prospettiva, dovrebbe essere adottato per i quasi 4 milioni di lavoratori rappresentati da IG Metall.

Rimangono comunque scoperti gli operai precari, con contratti a tempo determinato, o di lavoro temporaneo assunti da agenzie interinali, all’interno delle stesse fabbriche. In secondo luogo per la flessibilità in una doppia direzione: alla riduzione d’orario corrisponde la possibilità di aumentare il tempo di lavoro, con un più ampio ricorso agli straordinari.

Vi sono tuttavia due punti di grande importanza, quasi impensabili nella situazione sociale e sindacale italiana. Da una parte s’introduce il principio – quasi “biopolitico” – del primato del tempo di vita sul tempo di lavoro, della riproduzione sulla produzione: la possibilità di portare l’orario fino a 28 ore settimanali (e di aggiungervi ulteriori otto giorni di assenza) per “esigenze familiari”, ossia la cura di persone ammalate o anziane, fragili o non autosufficienti, o la crescita dei figli, senza alcuna discriminazione di genere, costituisce un riconoscimento del diritto a modulare la propria prestazione lavorativa sulla base dei più significativi bisogni della persona umana.

Dall’altra, con la rottura del blocco salariale e l’introduzione di primi significativi aumenti in busta paga, si dimostra che i soldi ci sono; che in questi anni le imprese, nonostante la crisi, hanno continuato ad arricchirsi; e che è arrivato il momento di cominciare a ridistribuire almeno parte di questi enormi profitti.

Vale per la Germania, ma vale anche per l’Italia. Il tema della riduzione dell’orario di lavoro deve essere certo materia di contrattazione tra le parti sociali, come giustamente stanno proponendo le organizzazioni sindacali più avanzate.

Ma crediamo anche che possa essere oggetto di specifiche iniziative legislative: in particolare a favore del lavoro precario e di quei crescenti settori che non sono coperti dallo strumento dei contratti collettivi nazionali. Così come la ridistribuzione della ricchezza, a partire da necessarie riforme fiscali, è uno dei punti su cui misureremo la volontà di cambiamento di tutti.

Che in Germania questa strada si apra proprio in coincidenza con il ritorno della formula governativa – regressiva e improduttiva – della “grande coalizione” tra i partiti di centrodestra e centrosinistra, è viceversa un segnale di grande vitalità sociale, del movimento sindacale e della Sinistra, nel cuore dell’Europa.

Anche di questo discuteremo sabato 17 febbraio alle ore 18.30 a Roma alla sala Capranichetta di piazza Montecitorio con Katja Kipping, la leader di Die Linke, uno dei nostri strategici alleati nel tentativo di immaginare e realizzare un’Europa democratica, dei diritti e della giustizia sociale.

Nicola Fratoianni