L‘Italia, dopo dieci anni di recessione, è un Paese più povero, ma soprattutto molto più diseguale.
Sono infatti aumentate le distanze fra i redditi più alti e quelli più bassi, e addirittura esplose quelle tra i più ricchi e i più poveri.
Questo è lo scandalo a cui porre rimedio, oltre che una delle cause principali di una crescita debole e disomogenea.
La forte concentrazione della ricchezza in poche mani alimenta la rendita e riduce gli investimenti pubblici e privati, con conseguenze negative su produttività e qualità delle infrastrutture.
La via maestra per la redistribuzione della ricchezza è quella della piena e buona occupazione, da garantire attraverso un piano straordinario per il lavoro e gli investimenti, che inverta radicalmente una politica economica fondata su bonus e sconti fiscali.
Proponiamo un Green New Deal, un piano coordinato di interventi che apra la strada alla riconversione ecologica dell’economia e insieme garantisca un forte saldo attivo sul piano occupazionale.
I settori prioritari su cui articolare questo piano sono: messa in sicurezza del territorio, delle scuole, degli ospedali, degli edifici pubblici e delle abitazioni; energie alternative, risorse idriche, istruzione, sanità, trasporto pubblico, tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ricerca. Sono tutti investimenti ad alto moltiplicatore, cioè in grado di generare una crescita economica, e quindi una occupazione, molto più elevata rispetto agli sgravi fiscali o ai trasferimenti monetari.
Crediamo sia inoltre indispensabile tornare ad investire sul lavoro pubblico, con lo sblocco del turnover nella pubblica amministrazione, a partire dai comparti di sanità, scuola, università, servizi sociali e sicurezza, e dalla stabilizzazione di situazioni di precarietà ormai croniche. Bisogna assumere personale giovane e con le competenze di cui la Pubblica Amministrazione oggi è più carente.
L’obiettivo della piena occupazione deve congiungersi con quello della dignità e dei diritti del lavoro.
Da troppi anni il ricatto della precarietà ha eroso la civiltà del lavoro, indebolendo il sindacato e portando i salari a livelli tanto bassi da essere nocivi per la stessa crescita dell’economia.
È quindi necessario intervenire con decisione, superando il Jobs Act e tutte le forme contrattuali che alimentano il peggiore sfruttamento.
La nostra proposta è tornare a considerare il contratto a tempo indeterminato a piene tutele, con il ripristino dell’art.18 (che oggi continua a valere solo per gli assunti prima del Jobs Act e per i dipendenti prubblici), come la forma normale di assunzione.
Ad esso possono affiancarsi il contratto a tempo determinato e il lavoro in somministrazione, esclusivamente con il ripristino della causale, che giustifichi la necessità di un’assunzione a scadenza.
Va superata, di conseguenza, la giungla di forme contrattuali precarie introdotte nell’ultimo ventennio, che decreto Poletti e Jobs act hanno contribuito a rafforzare.
Occorre invece disciplinare, nell’ottica di tutela del lavoratore, le nuove forme di lavoro, come quelle con le piattaforme, per le quali manca un inquadramento giuridico certo, perché stanno potenzialmente a cavallo fra il lavoro subordinato e quello autonomo.
Va comunque affermato il principio per cui nessuna forma di prestazione può essere svolta in modo gratuito o sottopagata rispetto a quanto previsto dai contratti nazionali.
Proponiamo inoltre di:
- contrastare la diffusione di falsi contratti part-time, che dissimulano impieghi effettivamente a tempo pieno;
- elevare il costo orario degli straordinari;
- riformare la normativa sull’assegnazione degli appalti, per impedire la possibilità di competere sul costo del lavoro, prevedendo la parità del trattamento economico e normativo tra lavoratori occupati dall’appaltante e lavoratori occupati dall’appaltatore;
- contrastare le cooperative spurie e, in generale, le false imprese utilizzate per finte esternalizzazioni di manodopera al fine di aggirare norme contrattuali e mettere in atto evasioni fiscali e contributive;
- garantire sempre la piena responsabilità solidale del committente, relativamente a salari e contributi e la clausola sociale in ogni evenienza di cambio d’appalto;
- rafforzare strumenti e risorse dell’ispettorato del lavoro;
- approvare una legge sulla democrazia sindacale, che assicuri valore solo ai contratti firmati dai sindacati maggiormente rappresentativi e approvati dai lavoratori e dalle lavoratrici.
Vogliamo porre un’attenzione prioritaria al tema dell’occupazione femminile e delle sue condizioni.
Il divario fra le opportunità e i livelli salariali di uomini e donne è infatti troppo vasto per essere accettato e incide negativamente sulla performance complessiva del paese. Si può iniziare a contrastare il gap salariale introducendo una normativa che obblighi alla trasparenza (tutelando i dati sensibili) delle differenze salariali tra generi e che escluda dagli appalti pubblici quelle aziende che non la rispettano.
Proponiamo inoltre:
- lo sviluppo della conciliazione tra lavoro e vita familiare, con misure strutturali di sostegno alla genitorialità che superino i vari bonus previsti attualmente;
- un piano straordinario di investimenti per estendere a tutto il territorio nazionale la possibilità di accedere ad asili nido;
- l’incentivo a forme di lavoro caratterizzate da flessibilità di orario (es. banche del tempo) e luogo (lavoro a distanza, smart work) sia per le madri che per i padri;
- l’estensione dei congedi: con aumento della durata del congedo paterno obbligatorio e una maggiore copertura economica del congedo parentale, per evitare che, nel dover scegliere a quale salario rinunciare, le coppie siano costrette a optare per quello femminile, spesso inferiore a quello maschile;
misure a favore dell’imprenditoria femminile; - interventi in materia pensionistica con la proroga di “Opzione donna” oltre il 2018.
Una nuova attenzione va dedicata al lavoro autonomo e professionale, per introdurre tutele reali che invertano il processo di impoverimento di massa che lo ha accompagnato negli anni della crisi.
Proponiamo:
- la predisposizione di schemi contrattuali con i clienti committenti;
- un sistema sanzionatorio che scoraggi il ricorso a clausole e condotte abusive
- un equo compenso generalizzato e proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto
- un codice di condotta che regoli i rapporti tra committenti e lavoratori autonomi
- la previsione di tutele in caso di maternità, inattività, cessazione temporanea, invalidità o infortunio, anche attraverso l’incentivazione a forme volontarie di mutualismo fra lavoratori autonomi.
Da troppi anni le lavoratrici e i lavoratori italiani sentono di non avere alcuna difesa contro gli effetti peggiori della globalizzazione.
È il momento di proteggerli e per questo proponiamo:
- l’applicazione a tutti i lavoratori e le lavoratrici che operano sul territorio nazionale del CCNL appropriato, senza alcuna possibilità di deroga;
- impegno a livello europeo per la correzione della direttiva Bolkenstein e di quella sui servizi professionali, per garantire che attività come i call center debbano essere svolte nel paese dove opera l’impresa committente;
- sanzioni per le imprese che delocalizzano gli impianti avendo ottenuto agevolazioni, detassazioni e contributi pubblici, a partire dalla integrale restituzione di ogni singolo euro ricevuto;
- iniziativa a livello europeo per introdurre dazi nei confronti delle imprese extra-UE che non rispettino standard adeguati per la tutela del lavoro, dell’ambiente e della sicurezza alimentare;
- la messa in discussione degli accordi internazionali CETA e TTIP, che antepongono la finalità del libero scambio alla tutela dei consumatori e dei diritti dei lavoratori, fino ad attribuire alle multinazionali la possibilità di citare in giudizio i poteri legislativi pubblici davanti ad arbitrati privati.
Crediamo inoltre che si debba introdurre un limite alla disparità fra salari e stipendi medi dei lavoratori e compensi dei manager.
Questo è stato fatto in parte nel settore pubblico, ma va esteso al settore privato, con particolare attenzione al segmento finanziario, come da previsione comunitaria.
In particolare si deve prevedere la non deducibilità delle retribuzioni in eccesso e l’esclusione dalle gare pubbliche e dalle concessioni per le imprese che non rispettino gli standard.
Vogliamo inoltre che i premi dei dirigenti siano ancorati a obiettivi di lungo periodo e comunque siano ricompresi all’interno dei limiti complessivi.
In un’epoca segnata da grandi progressi sul piano dell’automazione e della robotizzazione riteniamo ineludibile il tema della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.
I benefici derivanti dalla maggiore produttività devono essere un patrimonio collettivo e non un extraprofitto per le imprese.
Prevediamo un sistema di incentivi per le imprese che aumentino il numero di occupati riducendo il numero delle ore per addetto.
Tutto ciò deve avvenire riaprendo il metodo virtuoso del confronto autentico con le parti sociali, riconoscendo il ruolo dei sindacati, anche attraverso una legge sulla rappresentanza, e dialogando con le forme civiche di autogoverno, le reti del volontariato e i movimenti dei consumatori. Non si governa un paese moderno senza ascolto e dialogo. Se non si pratica un’intermediazione pubblica e trasparente, si finisce col praticarne una opaca e privata. Esattamente quello che è accaduto in questi anni.