Un paese in cui vivere meglio: per dirla con semplicità, è quello che tutti vorremmo. Per noi, magari anche per gli altri. Chi s’impegna in politica con l’ambizione di cambiare le cose, questa idea di benessere la deve definire, però, con minuziosa attenzione. Per saperla tradurre in azioni concrete. Affiancare alla lettura del presente soluzioni possibili e lungimiranti – che incidano nella vita di tutti i giorni “per i molti e non per i pochi” – è una delle sfide più complicate da affrontare. E se hai di fronte una grande transizione, come quella che in cui siamo già immersi tra globalizzazione, mutamenti climatici, guerre, carestie, migrazioni e nuove disuguaglianze, per non rimanere schiacciato devi sapere anticipare e accelerare le trasformazioni.
In quest’ottica, cioè quella di governare il cambiamento, la conversione ecologica dell’economia è sicuramente il settore strategico, in quanto capace di intervenire in tutti gli ambiti della transizione. Nel programma di Liberi e Uguali, depositato due giorni fa, su questo punto abbiamo particolarmente insistito. Lo riteniamo, infatti, un nodo cruciale per muovere, e promuovere, una nuova economia capace di superare l’organizzazione attuale dei mercati e la dicotomia profit-non profit, dunque aperta al ruolo fondamentale della cittadinanza attiva e delle imprese responsabili. Capace di liberare l’enorme potenzialità per il rilancio di eccellenze industriali italiane, per la creazione di posti di lavoro diffusi, stabili, per la promozione delle economie sane in grado di produrre più risorse di quante vengano sottratte, in termini ambientali e sociali.
Come si fa? Con un Grande Piano Verde che delinei, in una logica diametralmente opposta a quella delle grandi opere, gli investimenti pubblici di cui abbiamo bisogno e scandisca le tappe di una decarbonizzazione del Paese in tempi rapidi; a cominciare da una strategia “rifiuti zero”, dalla riduzione dei consumi, in particolare energetici, dall’efficientamento di casa, mobilità e trasporti e consumi residui alimentati entro il 2050 da energia 100% rinnovabile. Senza dimenticare che il superamento della dipendenza dalle energie fossili significa anche costruire un modello di “democrazia energetica” che favorisca l’autoproduzione di energia pulita, in cui i cittadini e le comunità siano sempre di più consumatori, produttori e distributori di energia, riducendo così lo strapotere economico e geopolitico degli oligopolisti che oggi controllano nel mondo il settore energetico e spesso agiscono senza riguardo per i diritti umani e per l’ambiente.
Inoltre, gli ingenti sussidi statali attualmente diretti al sostegno di attività dannose per l’ambiente vanno reindirizzati verso interventi per la rigenerazione delle città e il miglioramento della qualità dell’aria, per la bonifica dei territori contaminati e la riduzione degli impatti del mondo agricolo e dell’allevamento, per la conversione dell’industria pesante e inquinante. Per questo immaginiamo una cabina di regia “verde” permanente per la concertazione e la programmazione.