Perché abbiamo in testa un piano nazionale asili e perché nella nostra idea di rilancio complessivo dell’istruzione c’è anche una parte relativa alla prima infanzia? La prima risposta non riguarda altri se non i bambini. Tutti gli studi dimostrano che la frequentazione dell’asilo è molto importante in termini educativi e di sviluppo, ma anche come strumento per ridurre le condizioni di svantaggio dei bambini provenienti da condizioni di disagio sociale o economico. L’asilo è insomma uno strumento per ridurre le diseguaglianze almeno alla partenza. Non è un argomento da poco.

Il secondo argomento riguarda la natalità di cui la politica troppo spesso parla a vanvera e senza attuare politiche che non siano trasferire pochi euro alle famiglie con bambini. L’Italia è uno dei Paesi a più basso tasso di natalità del mondo e i vari bonus bebé e non convinceranno una giovane coppia precaria a fare un figlio.

I Paesi d’Europa dove si fanno più figli sono anche quelli dove le donne lavorano di più e dove vengono offerti più servizi. Se si esclude la cattolicissima Irlanda, più figli li fanno le donne francesi, svedesi, islandesi e danesi.

Il terzo argomento riguarda il mercato del lavoro, in particolar modo la partecipazione delle donne. I servizi all’infanzia aiutano le famiglie di organizzare i propri tempi di vita e di lavoro in un mercato che non ha più orari di lavoro standard. L’età tarda a cui si fanno i figli in Italia e l’aumento dell’età pensionabile ha poi reso meno presente e costante il welfare familiare: i nonni sono a volte molto anziani. Non parliamo della vita nelle città: il welfare familiare funziona se non si vive a un’ora di autobus di distanza.

L’anno scorso 25mila neomamme hanno lasciato il lavoro. Non tutte lo fanno per ragioni di organizzazione o impossibilità di accedere a servizi per l’infanzia. Ma per molte è così. E guarda caso, più sono bassi i salari, più frequente è la possibilità che le donne abbandonino il loro lavoro: rinunciare al salario costa meno o uguale che non pagare la retta dell’asilo, oppure si perde il lavoro per aver avuto un figlio.

Guardiamo pochi numeri cominciando dai dati Eurostat pubblicati il 20 febbraio. In Italia solo l’8% dei bambini va all’asilo e di questi il 4,9% paga il servizio mentre il restante 3,4% ne usufruisce gratuitamente. Peggio di così solo 7 Paesi Ue. In Danimarca l’86% dei bambini va all’asilo, in Svezia il 70%, nel Regno Unito il 65% e in Germania il 64%. La media Ue è pari a 38,8%. Negli anni della crisi il numero di posti disponibili è calato, così come la spesa dei Comuni in questo settore. Più asili ci sono e più le famiglie tendono a utilizzarli. Le diseguaglianze nell’utilizzo sono dettate anche dalla crescita del numero di asili privati non in convenzione.

C’è quindi un ritardo assoluto in alcune regioni e un ritardo relativo alla capacità del pubblico di soddisfare la domanda in larga parte del Paese. L’assenza del pubblico comporta un esborso molto maggiore per le famiglie e, dunque, un servizio privato che non tutti si possono permettere.

L’obiettivo europeo, un obbiettivo buono, diverso dai parametri su deficit e bilancio, sulla frequentazione degli asili nido da parte dei bambini di 0-3 anni è del 33% (entro il 2010!). I bambini sotto i tre anni accolti in servizi comunali o finanziati dai comuni variano dal 18,3% del Centro al 4,1% del Sud. Il programma di LeU assume questo come obiettivo. Altro obiettivo fondamentale è riuscire ad abbassare le rette in maniera drastica o alzare la soglia per la gratuità a livello nazionale – la competenza è comunale, ma si può creare un fondo nazionale per edilizia e per l’integrazione delle rette.
Comunque sia mancano all’appello circa duemila strutture e 150mila posti. Crearli farebbe bene ai bambini, alle famiglie, alle donne.

Già, ma chi si paga?
Uno studio rigoroso della facoltà di economia dell’Università di Siena mostra come un piano asili da 160mila posti – il fabbisogno nel 2025 per arrivare al 33% – si finanzia da solo con l’emissione di buoni del Tesoro a 10 anni a un tasso del 3% grazie all’occupazione aggiuntiva creata da costruzione, assunzioni del personale, possibilità di lavorare per più genitori, indotto. Costo 2 miliardi di euro, nello scenario economico pessimistico dello studio mancano 200mln, in quello ottimistico avanzo di 350mln.
(http://www.ingenere.it/articoli/asili-nido-si-pagano-da-se-una-simulazione-finanziaria)

Nel programma di Liberi e Uguali il piano asili è solo una delle poltiche che servono per far crescere il numero di donne che partecipano al mercato del lavoro – l’Italia ha uno dei tassi più bassi d’Europa.

Serve una flessibilità scelta e contrattata con le imprese e incentivata nei primi anni di vita dei bambini (molto diffusa nei Paesi dove si fanno più figli).

Vogliamo allungare in maniera consistente il congedo parentale per i padri. Regaliamo loro del tempo per stare con i loro figli (ne facciamo pochi, sono momenti della vita che non si ripetono) e facciamo anche partecipare di più gli uomini ai lavori di cura. In questo senso, i due giorni previsti dalla legge sono una specie di scherzo.