Intervista al Corriere della Sera

di Alessandro Trocino

Roberto Speranza, il presidente Grasso dice che sull’alleanza con i 5 Stelle non decide la Boldrini ma lui. Chi decide dunque in Liberi e Uguali?».

«Siamo una squadra, si decide insieme e il caposquadra è Grasso. Il pluralismo è una ricchezza».

Davvero siete «accecati dall’odio per il Pd», come dice Giorgio Gori?

«Sono parole irricevibili. Che mi fanno pensare a una miseria di argomenti. La categoria dell’odio non fa parte della mia cultura politica».

Vi presenterete contro il Pd in Lombardia. Perché?

«Abbiamo valutato che la decisione finale dovesse essere assunta dai nostri territori. In molti passaggi abbiamo provato a verificare una possibilità di intesa. Ma il profilo e la proposta di Gori sono apparsi troppo in continuità con la destra in Lombardia. Ha molto pesato anche l’ultimo passaggio sul referendum di Maroni. Gori è parso all’inseguimento della Lega».

Eppure Enrico Rossi e altri esponenti nazionali non condividono le conclusioni del territorio. C’è qualche spiraglio per cambiare idea?

«Siamo abituati a rispettare le indicazioni del territorio. E quindi dobbiamo essere tutti uniti e accompagnare questa scelta».

Gori ha pubblicato la prima pagina del «Giornale» che titola: «Grazie Grasso». Siete i migliori amici della destra?

«Aiuta la destra chi la insegue e la imita. L’unità senza cambiamento, senza discontinuità, si ridurrebbe solo ad alchimia elettorale. Respingiamo al mittente le critiche di chi in questi anni ha inseguito la destra, dal mercato del lavoro, alla scuola fino all’immigrazione. Non ci si può ricordare della destra solo il giorno prima delle elezioni».

E con Zingaretti? Si troverà un accordo in Lazio?

«E’ in corso un confronto senza pregiudizi. Abbiamo chiesto una svolta su sanità pubblica, tutela ambientale, lotta contro le disuguaglianze. Il mio auspicio è che si possa arrivare a un’intesa. E ho piena fiducia nel lavoro del presidente Grasso».

Pesa anche la diversa storia di Zingaretti rispetto a quella di Gori?

«Non è il gioco delle figurine: si tratta di questioni di merito. Poi è chiaro che le biografie non si cancellano e hanno un loro peso».

Sulle alleanze avete posizioni diverse. Non rischiate di confondere l’elettore?

«No, siamo guidati dallo stesso sistema di valori ovunque. Ci ispiriamo a Corbyn e Sanders e poniamo al centro lavoro, lotta alla precarietà, sanità e scuola pubblica».

Siete indifferenti agli appelli di tanti big all’unità del centrosinistra?

«Rispetto tutti, ma avrei voluto qualche appello in più quando mi dimettevo da capogruppo contro la legge elettorale o si discuteva duramente di lavoro. Gli appelli non bastano più».

Dopo le urne è pensabile una convergenza con il Pd?

«Dopo il 4 marzo faremo i conti e si vedrà, ma oggi il Pd è diventato il PdR: si identifica con Renzi e la sua cerchia e ha smarrito i valori originari».

Sui 5 Stelle sembrano lontane le aperture di Bersani.

«Ci sono differenze enormi sia con il Pd sia con i 5 Stelle. Questi ultimi hanno un’agenda simile a quella di Salvini su immigrazione e sindacati. La maggior distanza è con la destra, che resta il nostro avversario principale. Gli italiani hanno già conosciuto Berlusconi, Renzi e la Lega. E hanno visto le difficoltà dei 5 Stelle a Torino e Roma: noi siamo alternativi a tutti e siamo l’unica grande novità».